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Psicologia della testimonianza e del testimone

Psicologia della testimonianza: brevi indicazioni

Il problema della testimonianza (o delle sommarie informazioni sui fatti) sta tutto nella sua attendibilità assoluta.

di Ugo Terracciano*


Questo impone all’operatore di mettere in atto ogni buona prassi per evitare l’inquinamento della testimonianza e per incrementarne la qualità.

Il fatto è che gli operatori si comportano pensando che la memoria umana possa paragonarsi ad un registratore, capace di immagazzinare fedelmente immagini e suoni, per restituirli a richiesta.

Questa idea, però non ha trovato riscontri nella scienza, che a proposito della memoria umana ha invece evidenziato le tendenze erronee più comuni.

Per evitare errori che in qualche modo possano inquinare la qualità della deposizione occorre tener presente che il procedimento giudiziario è un tentativo di ricostruire un evento passato, ricercando le fonti di prova di ciò che è successo.

La polizia dunque può rilevare le “tracce fisiche” come le impronte digitali o i liquidi biologici, che aiutano a determinare la natura degli eventi e l’identità dell’autore del reato. Tuttavia, qualche volta si trascura che un evento criminale lascia altre tracce, meno tangibili, nella mente della vittima o del testimone oculare.

Così come le tracce fisiche devono essere accuratamente ricercate e messe in risalto, è altrettanto fondamentale il recupero delle tracce lasciate nella mente di chi ha visto e sentito. Analogamente alle tracce fisiche, quelle in memoria possono essere contaminate, perdute, distrutte o utilizzate per arrivare ad una ricostruzione scorretta dell’evento in questione. Analogamente alle tracce fisiche, le modalità di raccolta del dato e la qualità della resa testimoniale hanno importanti conseguenze sull’esito finale dell’investigazione.

Queste considerazioni, in realtà non fanno parte da sempre di un patrimonio storico-tradizionale dell’indagine, poiché il testimone, come dicevamo prima, non è mai stato oggetto di analisi per l’investigatore che, approcciandosi con la testimonianza nel suo complesso, non ha mai perseguito lo scopo di effettuare invece una ricerca di “tracce mnestiche”.

Da questa “tradizione” è derivato che la raccolta delle tracce fisiche, è stata proceduralizzata attraverso protocolli dotati di un fondamento tecnico-scientifico, è stata regolata da normative che consentono di ridurre gli elementi di contaminazione e affidata agli operatori di polizia dopo un adeguato addestramento. Invece, le tracce mnestiche provenienti dalla testimonianza oculare o fonica, sono state in misura assai minore oggetto di studi e applicazione in ambito forense.

Quindi, le procedure atte raccogliere, preservare e interpretare i dati delle testimonianze oculari si sono rifatte a criteri più empirici che scientifici, cosicché non ci si è mai concentrati sullo studio delle potenzialità e limiti delle capacità umane di ricordare i fatti. Così, è frequente che gli operatori che raccolgono le testimonianze siano in realtà dotati di una scarsa formazione sul funzionamento della memoria e sulle tecniche di comunicazione e verbalizzazione più adeguate per recuperare dalla memoria informazioni accurate.

Per inquadrare il problema nella sua vera dimensione, occorre ricordare che ci sono degli eventi reali che non entrano a far parte della testimonianza, mentre ci sono resoconti verbali che fanno parte della testimonianza, ma che non sono parte dell’evento vissuto. In altre parole, l’immagine resa può risultare, distorta, in modo deliberato con una consapevole volontà di ingannare, oppure in modo del tutto involontario.

Psicologia del teste: come funziona la memoria. La rievocazione, il riconoscimento

Se sotto il profilo giuridico la testimonianza, riscontrata ed affidabile, rappresenta un atto dal forte contenuto probatorio (al pari di una fotografia o un documento), sul piano psicologico essa consiste nel tentativo di recuperare il ricordo di un evento precedentemente osservato.

Trattandosi di recuperare un ricordo, ad essere chiamato in causa è il funzionamento di base della memoria che si distingue in tre fasi:

  • la codifica, che avviene nel momento in cui il soggetto è esposto al fatto;
  • la ritenzione in memoria che può essere di un tempo variabile da minuti o ad anni;
  • il recupero dell’evento, nel momento in cui il teste viene escusso ed invitato a rendere ciò che ha codificato e ritenuto, spiegando ciò che è successo.

Abbiamo quindi stabilito che la funzione della deposizione testimoniale è quella di recuperare dalla memoria del soggetto gli elementi che riguardano il fatto oggetto d’indagine.

Le modalità del recupero possono essere:

  • tramite una rievocazione cioè la descrizione di un evento;
  • tramite un riconoscimento cioè l’individuazione di un di una persona o di un oggetto o un oggetto mediante la comparazione con altre persone o oggetti simili. E’ il caso della individuazione diretta o fotografica.

Quando si richiede al teste una rievocazione, i suoi sforzi cognitivi sono più intensi e la qualità della sua deposizione sarà tanto più elevata, quanto più il teste sia dotato di competenze verbali e comunicative. Più è esteso il suo vocabolario, più fluido è il suo eloquio, più l’immagine che rende sarà limpida e dettagliata.

Nel caso del riconoscimento il processo consiste nel confrontare l’immagine mentale che il soggetto conserva con quella che gli viene mostrata. Il teste, mentalmente, deve valutare se ciò che gli si mostra è sufficientemente simile. La tecnica migliore è quella per eliminazione prima e per comparazione a coppie, poi.

L’idea dell’operatore, rispetto  alla memoria della persona da cui intende ottenere informazioni, rispecchia la visione classica, che rappresentava la memoria medesima come “riproduttiva”. Una specie di supporto-memoria del videoregistratore o di pellicola della macchina fotografica.

Questa idea è stata smentita dai più moderni studi scientifici che hanno evidenziato che in realtà la memoria non è affatto “riproduttiva” ma è “ricostruttiva”. Essa, infatti, agisce sulla base di una percezione attiva e selettiva, e tende a riempire i vuoti per ricondurli a schemi preesistenti.

In sostanza, la memoria non fotografa (o filma un evento) immagazzinando le immagini così come sono riprese, ma ripone detta immagine scomposta nei “pics”, per poi ricomporla quando deve essere resa. Quindi, il teste, non ricerca nel sul archivio mentale una immagine riposta nei suoi “file”, ma a richiesta la ricompone rimettendo a posto ogni puntino che ne ripropone immagini e colori. In tal modo, il rischio non è quello di ritrovare nella sua mente immagini scolorite o ingiallite (come le vecchie foto), ma piuttosto immagini sgranate o zone “bianche” nell’immagine.

Inoltre, l’informazione immagazzinata può essere modificata: può infatti incrociarsi con le informazioni acquisite successivamente, oppure dalle suggestioni naturali o provocate.

Comunque, in linea generale, l’operatore deve tener presente che esistono diversi fattori capaci di influire sulla resa testimoniale, ma grossomodo essi sono riconducibili a due macro-categorie:

  • le variabili che riguardano le caratteristiche dell’evento;
  • le variabili inerenti le caratteristiche del testimone.

Sono variabili importanti riguardo alle caratteristiche dell’evento:

  • l’intervallo di tempo tra codifica del fatto e recupero (il cosiddetto intervallo di ritenzione)
  • la durata dell’evento stesso.

Così, un testimone oculare potrà descrivere meglio i dettagli di un fatto (esempio furto, rapina o anche incidente stradale) all’aumentare della sua durata ed al diminuire del tempo passato da tale evento.

Ne deriva una indicazione operativa, poiché soprattutto se l’accadimento è stato istantaneo (come nel caso dell’incidente stradale), è molto utile serrare i tempi dell’assunzione delle informazioni, per evitare che, rimandando troppo, venga poi resa un’immagine “sgranata”.

L’assunzione di sommarie informazioni, di regola, deve in ogni caso avvenire prima possibile, cioè non appena le condizioni psicofisiche del testimone lo permettono.


Psicologia del teste: caratteristiche dell’evento, effetto di distrazione della violenza

Gli studiosi hanno analizzato con criteri scientifici un certo numero di crimini violenti rilevando un evidente decremento di accuratezza nella descrizione dell’aggressore ad opera del teste,.

A questo proposito si è parlato del cosiddetto “effetto di distrazione della violenza”, mettendo in luce il meccanismo per il quale, in situazioni in cui la persona resta vittima di comportamenti violenti, subirebbe uno stato di stress emotivo elevato, tale da ridurre il grado di accuratezza del suo resoconto. Quindi, se si interrogano testimoni-vittime coinvolte in scene violente, è probabile che la qualità del loro racconto scemi in maniera direttamente proporzionale al grado di pericolosità subita ed anche al numero di criminali coinvolti nell’evento.

E’ importante però notare che per il gioco dello stesso effetto di distrazione della violenza, la forte emozione non compromette uniformemente l’accuratezza dell’immagine codificata, ma comporta la riduzione del focus attentivo ai soli elementi più rilevanti.

Ad esempio, alcuni studi hanno documentato che di fronte a stimoli carichi dal punto di vista emotivo (es. sangue o violenza), l’attenzione umana si focalizzi solo su tali elementi trascurando i rimanenti, dando luogo al fenomeno della cosiddetta “cecità indotta dalle emozioni”.

A proposito di questi meccanismi emozionali, è interessante notare che, se la performance mnestica immediata risulta scadente, col tempo ci può essere il recupero di alcuni dettagli connessi con la scena. 


Psicologia del teste: caratteristiche dell’evento - effetto di focalizzazione dell’arma

Sempre nell’ambito degli studi relativi all’effetto dell’impatto emotivo sulla capacità di codifica e successiva resa del teste, nei crimini cruenti, è stato analizzato il cosiddetto “effetto di focalizzazione sull’arma” (weapon focus effect).

Nelle persone a cui è stata puntata un’arma, lo stress emotivo, infatti, sembra generare un restringimento del focus attentivo proprio sull’elemento di minaccia, con la conseguente perdita dei dettagli periferici. L’arma diventa pertanto protagonista principale, la figura centrale che attira su di se tutta l’attenzione, e tutto il resto, compreso il volto dell’aggressore, resta sullo sfondo, percepito come aspetto periferico e quindi poco dettagliato nel resoconto.

E’ stato proposto l’esempio che segue: un testimone in un ristorante ha visto un cliente consegnare dei soldi al cameriere; al contrario ha visto un cliente puntare una pistola verso il dipendente. Alla richiesta posta al testimone di descrivere il volto del cameriere si ottiene un resoconto peggiore nel secondo caso.

Addirittura, tra i casi analizzati, paradossalmente, la vittima di un’aggressione riesce ad identificare i complici, ma ha difficoltà a riconoscere il volto di chi lo ha aggredito.

Questo effetto si può manifestare in tutti i casi in cui l’aggressore utilizza oggetti pericolosi per minacciare una persona, come ad esempio i coltelli o le siringhe dei tossicodipendenti, mentre non si verifica se l’aggressore ha in mano una penna.


Psicologia del teste: caratteristiche personali

Le caratteristiche personali maggiormente studiate sul testimone oculare in quanto correlate ad una migliore resa testimoniale sono:

  • il sesso,
  • i tratti di personalità
  • la razza.

Per quanto riguarda il sesso, gli studi hanno mostrato che non ci sono grosse differenze nell’accuratezza tra uomini e donne nella loro qualità di testimoni oculari. Tuttavia, le due differenze di maggior rilievo riguardano i dettagli stereotipici e l’identificazione con la vittima. Le donne sono più inclini ad includere nel resoconto testimoniale particolari connessi a oggetti o azioni tipicamente femminili (ad es., gli abiti), i maschi lo sono altrettanto per gli ambiti tradizionalmente appartenenti alla loro sfera d’interesse (ad es., gli autoveicoli). Quando si interroga una donna testimone oculare di un reato violento è più probabile che riferisca dettagli inerenti l’esperienza della vittima per una più accentuata propensione ad identificarsi con la stessa.

Resta il fatto che ci sono poi differenze tra gli individui in ordine alla capacità ed ai tratti legati alla qualità del resoconto testimoniale.

Alcuni soggetti riescono a notare specifici dettagli, altri riescono a distinguere meglio le differenze facciali; alcuni manifestano una migliore capacità di verbalizzazione degli eventi senza incontrare particolari difficoltà nell’attribuire un nome appropriato ad uno specifico elemento; altri ancora possiedono una migliore consapevolezza degli stimoli esterni. In genere gli estroversi sono più concentrati a monitorare quei segnali provenienti dall’esterno e rappresentano una maggiore resa testimoniale.


Psicologia del teste: caratteristiche personali -  tratti somatici

Molti studi hanno preso in esame la resa, da parte dei testi dei tratti somatici e razziali e la similarità/diversità razziale tra il teste stesso con la persona osservata.

E’ stata osservato un fenomeno di  “distorsione verso le persone di un’altra razza” (other race bias) che consiste nella tendenza ad una maggiore accuratezza nel riconoscimento di persone appartenenti alla propria razza piuttosto che persone di razze diverse. Ad esempio i bianchi riescono a discriminare meglio fra soggetti bianchi mentre nei confronti di appartenenti ad altre razze, come quelle di origine africana o asiatica, si evidenzia un atteggiamento tipico che può essere riassumibile nella frase “sono tutti uguali”. Il fenomeno si riscontra anche all’inverso, nel senso che un teste di altra razza, se non integrato da anni, tende a non distinguere i tratti somatici caratterizzanti del volto degli autoctoni. Sono principalmente due gli indirizzi adottati per individuare una spiegazione di tale fenomeno discorsivo.

La spiegazione di tipo cognitivo, dice che le caratteristiche del volto vengono ascritte alla unicità di quella persona se il soggetto osservato appartiene alla medesima razza dell’osservatore; se invece l’altro appartiene ad una razza diversa il particolare è riferito ai tratti dell’intero gruppo. In altre parole, quando le persone di origine europea guardano il naso di una persona caucasica pensano “guarda il naso di Mario”; quando guardano il naso di una persona di origine africana “è proprio un naso da africani”.

La spiegazione di tipo psicosociale si ricollega all’effetto della relazione tra diversi gruppi: normalmente c’è la tendenza a considerare omogenee le caratteristiche dei gruppi estranei o percepiti negativamente che provoca un meccanismo di indistinguibilità tra gli appartenenti.


Psicologia del teste: la resa di una testimonianza sulle armi

Sono stati condotti interessanti studi per misurare la capacità, da parte dei testi, di ricordare il tipo di arma che hanno visto assistendo ad una rapina. Non è stato trascurato, peraltro, di considerare la difficoltà che può derivare dal fatto che, impugnando l’arma, il malvivente possa rendere (inconsapevolmente) più difficile il riconoscimento e la codifica dei particolari della stessa.

Comunque, si è riscontrato che quando l’azione è stata messa a segno con un’arma da fuoco alcune caratteristiche specifiche sono rese dal teste con più facilità essendogli rimaste più impresse oppure in quanto più note per via di una conoscenza diffusa.

La conoscenza delle armi che può derivare dalla professione (tutore dell’ordine, guardia giurata, armiere, cacciatore, ecc.), dall’esperienza personale (es. servizio di leva) o dai mass-media e dalla cronaca.

L’operatore che raccoglie le informazioni testimoniali, quindi, deve pertanto preliminarmente chiarire quale tipo di conoscenza specifica il teste abbia con le armi

Se non si rilevi una familiarità con le armi, le indicazioni del teste assumeranno un grado di attendibilità molto bassa circa il modello e le caratteristiche tecniche dell’arma che ha visto. Un esperimento, condotto da Matthew J. Sharps (T.L. Barber, H. Sthal e A.B. Villegas (2003) Eyewitness memory for weapons, The forensic Examiner, n. 12) conferma questo assunto. Sharps ha presentato ad un campione di persone la fotografia che riportava l’immagine di un arma da fuoco, sottoponendola ad ogni singolo soggetto per tre secondi. Trascorsa un’ora dal momento dell’esposizione, si è proceduto al riconoscimento, esponendo, dal vero, l’arma che prima era ritratta nella fotografata tra un certo numero di pistole simili.

Solo pochi soggetti, nel campione, sono stati in grado di individuare l’arma che un’ora prima avevano potuto visionare in foto. E’ significativo che la percentuale sia stata lievemente più alta quando, nel ripetere l’esperimento, al campione è stata fatta visionare la foto di una pistola semiautomatica calibro 9, la cui immagine è certamente più diffusa e conosciuta collettivamente anche grazie alla televisione o al cinema. Ma questo non sposta i termini del discorso.

In un esperimento condotto dal prof. Luca Pierantoni, presso l’Università di Bologna, a venti studenti sono state sottoposte le foto di armi semiautomatiche e armi d’assalto (fucili mitragliatori “Uzi”). Dopo dieci minuti i partecipanti hanno identificato correttamente più il fucile mitragliatore (90%) che non la semiautomatica (60%).


Psicologia del teste: la memoria di volti e persone 

La rievocazione dell’autore del fatto da parte del teste è una operazione piuttosto delicata, data la forza indiziante della deposizione.

La difficoltà principale nasce dal fatto che quando si interroga un teste, il suo focus attentivo è concentrato sull’azione piuttosto che sulla persona.

Occorre peraltro tener presente che nel cervello umano esistono sezioni diverse che presiedono al riconoscimento delle persone da una parte e degli oggetti dall’altra. La codifica del volto di una persona sconosciuta avviene primariamente attraverso la configurazione del volto nel suo complesso (processo definito global based) e successivamente assimilando le singole caratteristiche fisiche caratteristiche e particolari come baffi, occhiali, capelli ecc. (processo feature based). 

Va considerata altresì la tendenza ad associare il volto a caratteristiche emotive più che fisiche. Il teste, perciò, ricorda che, per esempio, che l’autore del fatto aveva una faccia da bravo ragazzo, oppure al contrario, che aveva l’aria del delinquente, ma molto più raramente la codifica avviene per i dettagli somatici.

Si è visto altresì, rispetto alla statura, che i testimoni-vittime di aggressioni quando è loro posta una domanda di stima di altezza (“quanto era alto?”) tendono a sovrastimare l’altezza dell’aggressore, probabilmente a seguito della percezione di minaccia.


Psicologia del teste: distorsioni nella memoria della percezione e della spiegazione di eventi 

Il teste interrogato viene invitato ad esporre il fatto. Ma occorrerà fare molta attenzione al manifestarsi di alcune tipiche distorsioni involontarie:

1. La cosiddetta “attribuzione causale”

Il resoconto del teste includerà non solo aspetti descrittivi ma anche esplicativi. Egli infatti non potrà mai limitarsi a riprodurre meccanicamente ciò che ha visto,  ma cercherà di spiegarlo e di identificarne le cause

Questo tentativo di rintracciare le cause di un evento a cui ha assistito, è un meccanismo che si manifesta sebbene al teste fosse stato chiarito sin dall’inizio che il resoconto deve essere obiettivo e deve vertere esclusivamente sugli elementi oggettivi percepiti in via diretta. Questa raccomandazione non basta ad evitare che il teste faccia trapelare il suo punto di vista, oppure possa aggiungere conclusioni mascherate come dati di fatto che sono invece il frutto di una sua ricostruzione di tipo causa-effetto basata sui luoghi comuni, sul normale scorrere degli eventi e sul suo conformismo culturale.

La ricerca inconsapevole di una causa o una responsabilità ad un evento o rispetto alla descrizione del comportamento altrui espone il teste ad una serie di errori che la scienza ha individuato e prefigurato. 

1.1. Errore fondamentale di attribuzione -  un primo errore è dato dalla tendenza a preferire impulsivamente una spiegazione in termini disposizionali, attribuendo cioè l’origine del fatto alle caratteristiche proprie e stabili della persona (es. “l’incidente si è verificato perché è un irresponsabile”), poi solo in un secondo momento, si tende a ricercare una spiegazione situazionale che riguardano le contingenze e l’ambiente in cui il fatto è accaduto (l’incidente è successo perché c’era la nebbia). Questa distorsione cognitiva è denominata errore fondamentale di attribuzione

1.2. Divergenza attore/osservatore  - un altro fallo è dovuto alla tendenza del teste a spiegare a se stesso gli eventi diversamente, in base alla prospettiva in cui ci si ritrova (divergenza attore/osservatore). A seconda del ruolo ricoperto nel corso degli accadimenti l’interpretazione da situazionale diventa disposizionale. Quando la persona che riferisce ha ricoperto la veste di attore, la spiegazione degli eventi avviene in termini situazionali, quando invece ha giocato nella veste di osservatore la spiegazione avviene in termini disposizionali. Il classico esempio riguarda la descrizione della condotta di guida propria e dell’antagonista, da parte di colui che è rimasto coinvolto in un sinistro stradale. Spesso il teste attribuisce valore alle caratteristiche dell’altra persona coinvolta, per descriverne il comportamento, mentre, descrivendo la propria condotta focalizza piuttosto l’attenzione su questioni di tipo situazionale o ambientale. Così dirà che l’antagonista teneva una condotta di guida spericolata, mentre per quanto riguarda le proprie condizioni la causa è da ricercare per esempio nella forte pioggia in atto, senza tener conto però che in quel caso l’obbligo di rallentare incombeva su entrambi gli utenti della strada. 

1.3. Self-serving bias - questo errore , consiste nell’attribuire gli eventi positivi a fattori interni, mentre gli eventi negativi vengono ascritti a fattori esterni (una sorta di “merito merito mio/colpa loro”). Non è infrequente che le spiegazioni esterne ricadano su argomenti che coinvolgono le istituzioni, lo Stato o il Comune, magari, al società, il disagio economico. A condizionare il meccanismo di Self-serving bias  è anche l’esito dell’evento in base al quale le persone compiono diversi processi esplicativi.

È  stato proposto, in una ricerca del prof. Pietrantoni dell’Università di Bologna il seguente scenario: “Pensiamo ad un’auto in sosta in una strada in pendenza che, ad un certo punto, prende velocità e va, nel primo caso, a colpire un marciapiede; o, in un altro caso, ad investire un pedone. Si è visto che nel primo caso il testimone tende a spiegarsi l’incidente adducendolo ad un ipotetico guasto meccanico (spiegazione esterna al conducente) mentre nel secondo caso tende a colpevolizzare il conducente che non ha attivato il freno a mano (spiegazione interna)”.

2. La dilatazione dei tempi 

I tempi descritti dalla persona informata dei fatti difficilmente ricalcano quelli della realtà. Quando si chiede di stimare la durata temporale di un fatto criminoso violento o molto pauroso, si riscontra spesso una tendenza ad attribuire un periodo maggiore di quello reale. Questa tendenza è più accentuata nelle donne.

La distorsione di cui trattasi si definisce effetto slow motion e provoca la sensazione di comportamenti “al rallentatore”. Influenzano l’effetto citato il carico di stress per La tensione accumulata nell’assistere alla scena ed anche i tempi d’attesa di un soccorso.

 3. L’informazione post-evento 

Una significativa distorsione della testimonianza, può derivare dalle informazioni propagate post-evento. Si tratta di un fattore che ha acquisito una speciale importanza soprattutto oggi, con la diffusione di mezzi di comunicazione sempre più potenti e con la circolazione sempre più rapida delle informazioni.

A questo proposito va, sia pure per inciso, evidenziato il problema rilevante della ridotta possibilità – con lo sviluppo dei mezzi telematici di comunicazione - di verificare a fondo l’attendibilità della fonte e l’accuratezza del resoconto per l’accelerazione fortissima dei tempi di comunicazione della notizia.

Comunque, ciò che qui interessa, è che le informazioni acquisite dopo l’evento possono influenzare il ricordo del testimone: se ne è avuta una prova empirica da alcune analisi su esperimenti nei quali è emerso che i resoconti errati dei testimoni sono dipesi da informazioni false a cui essi sono stati esposti dopo l’evento.

Un primo possibile inquinamento del ricordo può dipendere dallo scambio di informazioni tra diversi testi. I difetti cognitivi che riguardano uno dei testi potrebbero essere traslati agli altri che si fanno influenzare.

Ovviamente per ridurre il rischio è consigliabile separare i testimoni affinché non si soffermino a discutere tra loro dei dettagli dell’evento.

E’ altresì importante chiedere direttamente al teste se, prima della deposizione, abbia discusso con altri sul caso.
 

Implicazioni nell’assunzione di sommarie informazioni 

Le forze di polizia hanno svolto – soprattutto all’estero – molti sforzi per raccogliere in manuali operativi le raccomandazioni per raccogliere buone testimonianze. In alcuni elaborati si è cercato di sintetizzare il processo per l’“intervista investigativa”, sottolineano alcuni punti fondamentali: 

  • in primo luogo va data importanza alla fase in cui l’operatore stabilisce il rapporto con il testimone. E’ buona regola che l’investigatore innanzitutto si presenti prima di chiedere alla persona di declinare le proprie generalità;
  • prima di giungere all’escussione del teste sui fatti, è bene, anche se brevemente, porre domande preliminari sul suo stato, dimostrando un interessamento per la persona. Le domande saranno neutre, e per quanto personali non dovranno mettere la persona in una condizione di difesa. L’esempio classico (soprattutto se il teste viene ascoltato nell’immediatezza dei fatti, è la domanda: “come si sente?”, “ha bisogno di nulla?”. Sono domande che non solo contribuiscono a creare un contesto di maggiore serenità dell’interlocutore, ma consentono anche all’operatore di verificare le condizioni psicofisiche del teste che potrebbero compromettere la sua capacità di rievocare efficacemente il fatto. Soprattutto nell’immediatezza è infatti importante capire se la persona sia sotto l’effetto di alcol, sostanze psicotrope o farmaci, oppure se sia semplicemente sotto shock. Il fatto che il teste sia a suo agio rappresenta una condizione che a sua volta è collegata ad una maggiore quantità e qualità delle informazioni rilasciate.
  • allo scopo di guadagnare la fiducia del testimone e promuovere un rapporto empatico si può ricorrere a diversi stratagemmi:

    (a) mostrare comprensione e sincera apprensione per la situazione in cui si trova il testimone chiedendo, ad esempio, informazioni sulle sue condizioni ed evitando commenti giudicanti;
    (b) personalizzare l’intervista sulla base delle caratteristiche del testimone e chiamarlo con il proprio nome;
    (c) ascoltarlo attivamente formulando domande a partire dalle sue affermazioni precedenti e mostrando disponibilità all’ascolto.
  • l’operatore, qualora si trovi di fronte a soggetti più collaborativi e in condizioni ottimali, dovrà incoraggiare il testimone oculare ad un racconto libero dell’evento. In queste condizioni, la tecnica mnemonica migliore da applicare è quella della “ricostruzione del contesto” che consiste nell’incoraggiare il testimone a ricostruire mentalmente la condizione ambientale e lo stato psicologico vissuto in quel momento. In sostanza lo si esorta a rivedere la scena come se la stesse vivendo in quel momento.
  • i testimoni oculari focalizzano l’attenzione più sull’azione e che sulle persone, pertanto hanno talvolta difficoltà nell’attuare un processo di traduzione dal visuale al verbale ed a riportare informazioni dall’immagine mentale acquisita. E’ compito dell’operatore soffermarsi sulle persone, facendo sì che il teste lo isoli nella sua memoria dal contesto generale. Si deve cioè attivare un’immagine mentale dell’autore di reato. Per esempio si può chedere: “Lei ha parlato dello scippo e della vittima caduta a terra. Ha detto che poi lo scippatore è fuggito a piedi di corsa, vorrei che lei cercasse di visualizzare nella sua mente un’immagine di quest’uomo. Quando è che l’ha visto al meglio? Pensi a come le si presentava davanti. Cosa indossava? Ha detto qualcosa? Con quale inflessione?”. Le domande devono essere pertinenti all’immagine mentale che il teste sta rendendo: se sta parlando del viso del criminale meglio chiedere il colore dei capelli che quello delle scarpe. Domande che non hanno ad oggetto l’immagine che il soggetto sta rendendo potrebbero distrarlo. Successivamente, poi, si potrà indagare meglio le altre caratteristiche che interessano, come l’aspetto fisico, l’abbigliamento, la pronuncia.
  • se si avverte la difficoltà del teste a rendere una testimonianza verbalmente precisa, si possono porre delle domande che sfruttino la natura associativa della memoria: esempio, “La persona le ricordava qualcuno?” o “il dialetto era del nord o del sud?”. Avendo sentito pronunciare un nome, al teste che non lo ricorda si può chiedere se fosse un nome comune o poco diffuso, lungo o corto; si può invitare il testimone a pensare alla prima lettera facendo una ricerca alfabetica.
  • occorre fare attenzione alle tecniche comunicative adottate: le domande aperte stimolano un resoconto libero del soggetto; Le domande chiuse invece prevedono un numero sempre più ristretto di possibilità di risposte (chi, dove, quando, come); le domande “a scelta forzata” sono di due tipi: quelle dicotomiche (“La donna aveva il casco?”) che hanno come unica possibilità di risposta “sì/no/non so” e quelle a scelta multipla (“Sono fuggiti via a piedi o in moto?”).
  • in generale, si preferisce iniziare con le domande aperte e proseguire con quelle chiuse attraverso una modalità “ad imbuto”, focalizzandosi sui temi o dettagli che è necessario approfondire e ritornando a domande aperte quando si cambia argomento. E’ una situazione dinamica in cui le risposte elicitano a loro volta alcune domande: a seguito di una risposta del teste con espressioni vaghe tipo “era vestito in modo trasandato” le domande successive potrebbero essere orientate alla chiarificazione (“che cosa intende con trasandato?”). Le domande aperte hanno il vantaggio di poter elicitare informazioni inaspettate e, in generale, più accurate e libere da condizionamenti (es. per compiacenza o distorsioni). Le domande chiuse, invece, sono più utili in un secondo momento per direzionare la raccolta di informazioni o chiedere specificazioni nel caso il resoconto del testimone sia vago o incompleto
  • ponendo domande chiuse in particolare con i bambini l’operatore dovrebbe chiarire anticipatamente al suo interlocutore che può rispondere “non so” o “non ho capito” al fine di evitare risposte compiacenti
  • le domande suggestive o fuorvianti sono quelle che, per il modo con cui vengono poste, possono confondere e guidano le risposte in una direzione prestabilita dall’interrogante. L’operatore di polizia ha bisogno di raccogliere le informazioni conosciute dal teste, senza influenzarlo (ed auto-influenzarsi) causa le proprie aspettative o dalle informazioni percepite da altre fonti.
  • ogni informazione presente nelle domande deve essere attentamente verificata, poiché involontariamente le domande possono presumere qualcosa e quindi fuorviare il teste
  • non bisogna porre domande che già in sé possano influenzare indirettamente la risposta evocando situazioni diverse sulla base del campo semantico attivato. Si è sperimentato ad esempio che, se si chiede ad un teste “a quanto andava l’auto prima di sfracellarsi contro l’ostacolo” e ad un altro “a quanto andava l’auto prima di urtare l’ostacolo”, nel primo caso è più probabile una stima di velocità superiore. Se si utilizza in una domanda l’uso dell’articolo determinativo piuttosto che quello indeterminativo (“Ha visto il fuoristrada?” vs. “Ha visto un fuoristrada?”) i testimoni tendono ad assumere nel primo caso che l’oggetto ci sia, rievocando addirittura oggetti non presenti
  • alcuni indicatori forniti dagli operatori da un parte contribuiscono a mettere a proprio agio il soggetto, dall’altra però lo inducono a perdere il loro tono imparziale (ad esempio attraverso cenni di assenso o incoraggiamenti col capo, sorrisi, intercalari di assenso – Bene!, …sì! Certo! ). E’ naturale che tali “rinforzi” possono essere più presenti ogni volta che l’esposizione del soggetto conferma le ipotesi dell’operatore, mentre ciò che non le conferma viene ignorato.
  • il ricorso alla comunicazione non verbale, ad esempio nella forma di gesti o disegni, può essere molto utile invece nei casi in cui il testimone non riesca a riportare determinate informazioni e con i bambini)
  • se è possibile il teste va ascoltato anche in un secondo momento poiché talvolta ricorda ulteriori informazioni a distanza di tempo. Queste informazioni che integrano la deposizione possono essere considerate talvolta futili dal testimone ma rivelarsi invece importantissime per l’investigatore.


* Professore a contratto presso l'Università di Chieti-Pescara, Presidente di Criminologi AICIS, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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